sabato 26 settembre 2015

organZa e chiffon

Ripensandoci, a distanza di molto tempo, capivo che mi ero cucita addosso un’immagine di te “su misura”. Son brava nei lavori di sartoria, un po’ meno coi numeri, così la taglia non era risultata giusta e tu, probabilmente, non avevi tutta quella stoffa.
O forse l’avevi, ma ti pareva uno spreco utilizzarla per un abito solo. Un abito che più lo guardavi, meno ti piaceva e oltretutto, in futuro, avresti potuto averne bisogno per altre occasioni. Non si può mai sapere che cosa la vita ha in serbo per noi.
No.
Non potevi correre il rischio di rimanere nudo, soprattutto ora che il freddo  dell’anima cominciava a farsi sentire.
Perciò lentamente e con garbo riponevi la pezza nello scaffale dei ricordi strappandomi di dosso ciò che con troppo entusiasmo avevi elargito .
Mi sarei dovuta accontentare di un succinto babydoll di impalpabile organza da indossare rigorosamente in privato, nelle sporadiche notti di luna piena, per poter ricordare il senso di noi, quello che avevamo ritrovato in quell’incontro inatteso e rubato all’architettura di una vita in gabbia e senza  scampo.
La tua.

Però io intanto, insieme alla stoffa,  avevo tagliato le sbarre delle tua prigione. Finalmente eri fuori… e allora perché non approfittare di questa nuova prospettiva?
Per nulla rassegnata e con troppa predisposizione al telaio e alla penna mi calavo nei panni di una nuova Penelope sperando nel tuo ritorno e intessendo per noi inconsistenti trame di velluto su un ordito di parole, mentre tu, Ulisse, esperivi il gusto di una nuova libertà, che certo ti aveva portato nel mare burrascoso e difficile della vita, ma che non ti impediva di incontrare le Sirene o la Maga Circe con rinnovato piacere.
Ma preferivi così.